Oggi ci stiamo avventurando in una zona ad alto rischio. Siamo a fine agosto, questa è la newsletter delle ferie, siamo in campagna elettorale e nessuno ha davvero voglia di farsi male con rompicapo senza soluzione.
Ecco perché ho in mente di raccontarvi una storia… una storia che inizia alla fine degli anni sessanta negli Stati Uniti dove il Prof. Philip Zimbardo, finanziato dalla Università di Stanford, condusse uno strano esperimento utilizzando diverse squadre di ricercatori: due auto identiche furono parcheggiate in due luoghi diversi, la prima in un quartiere malfamato del Bronx a New York, l’altra in un bel quartiere di una ridente cittadina californiana, Palo Alto, fondata dagli spagnoli nella seconda metà del ‘700 ed il cui nome significa “albero alto” e dove, peraltro, hanno sede gruppi famosi come Tesla e HP ed anche social network come Facebook e Linkedin.
È facile intuire il seguito della vicenda… le squadre che monitoravano l’auto nel Bronx, annotarono che già dopo un’ora era stato rotto un vetro ed era iniziata la razzia sistematica degli accessori e via via di ogni altra parte, comprese ruote e motore, e tutto ebbe termine in una settimana. L’altra auto a Palo Alto invece non aveva subìto nessun tentativo di danneggiamento o furto, perciò dopo una settimana, i ricercatori ruppero volontariamente un vetro dell’auto. A questo punto, piano piano, anche questa auto subì l’attacco ed in un certo po’ di tempo fu ridotta come l’altra.
Lo studio fu completato con questa dimostrazione ritenuta risolutiva: la mancanza di cura e manutenzione di un bene può innescare un meccanismo incrementativo di incuria e violenza in grado di rovinare il bene stesso.
Lo studio ebbe uno sviluppo in una nuova ricerca chiamata “L’esperimento carcerario di Stanford” (1971) da cui è stato poi tratto un film “L’Effetto Lucifero” (2015) ma lo cito unicamente perché è grazie a questo che il ricercatore Philip Zimbardo è diventato famoso presso il grande pubblico.
Quello che interessa a noi, invece, è l’approfondimento del primo lavoro, quello delle due auto, condotto da altri due ricercatori, James Wilson e George Kelling, che, nella loro importante ricerca del 1982, intitolata effettivamente Teoria delle Finestre Rotte (Broken Windows Theory), si posero il problema di determinare se l’effetto di disordine potesse far aumentare degrado e perfino comportamenti antisociali. Bene, i due scienziati scelsero aree urbane abitate, di diverse tipologie, e cominciarono a monitorarle per studiare i comportamenti abituali, poi iniziarono a deturpare le strade con rifiuti abbandonati, scritte e graffiti, ruppero vetri agli edifici, insomma l’ambiente fu trasformato in un luogo che sembrava abbandonato e senza controllo.
Come ci possiamo immaginare accadde dovunque la stessa cosa, comportamenti antisociali e degrado aumentarono dovunque, lo studio fu considerato riuscito ed alcuni pensano che sia stato proprio questo a convincere il Sindaco di New York, Rudolph Giuliani, all’inizio degli anni novanta ad attivare il programma “tolleranza zero” contro graffiti e imbrattamento della metropolitana.
Ora prendiamo fiato, respirone e torniamo alla Teoria delle Finestre Rotte che ci ha portato un po’ in giro per il Nord America… facciamoci coraggio e prendiamo atto che siamo tutti un po’ in colpa… se lasciamo le bollette da pagare sul mobile in soggiorno e poi non ce le ritroviamo, a chi attribuire la responsabilità, a chi le ha spostate o a chi ce le ha lasciate?
Capisco le vostre posizioni, che sono anche le mie, ma se riflettiamo senza lasciarci coinvolgere direttamente, è facile realizzare che se le riponi nel loro cassetto nessuno le potrà spostare…
Ed ora tutti pronti per il doppio salto carpiato, ora dobbiamo passare all’azione nelle nostre realtà quotidiane, ponendoci il problema di quante finestre rotte abbiamo nell’organizzazione, in ufficio, in produzione, in negozio, nel commerciale, in reception o in front-office… perfino nel nostro garage, in cantina o nel ripostiglio.
Tutte potenziali occasioni di peggioramento del nostro standard, tutte negatività da tenere lontane.
Iniziare un combattimento contro le nostre finestre rotte implica ricerca e individuazione, strategia a lungo termine e tattica di soluzione su base giornaliera, sfruttamento del bene spazio-tempo liberato e diffusione in ambito di squadra di lavoro, di ufficio, di addetti alla manutenzione o alla produzione, del modo di pensare alla Philip Zimbardo: la carenza di ordine e manutenzione porta ad un sicuro peggioramento dei comportamenti laddove ambiente curato e perfetta manutenzione conducono ad un progressivo miglioramento. Ecco dunque cosa ci deve accompagnare nel nostro percorso di attenzione e ricerca del cambiamento: migliorare tutto ciò che possiamo migliorare, nella vita e nel lavoro, non il caso o le abitudini, ma conoscenza e determinazione ci aiuteranno a forgiare le nostre scelte e i nostri progetti, a realizzare sogni e obiettivi, a raggiungere risultati!
“Noi siamo ciò che facciamo continuamente. L’eccellenza non è quindi un atto, ma un’abitudine.”
Aristotele